Le liste d’attesa continuano a pesare sulla vita di tante persone in Piemonte. Non è solo un tema sanitario, ma di fiducia nel sistema. Per questo sto lavorando, insieme a cittadini e cittadine, per fare chiarezza e riportare trasparenza. Le segnalazioni che ricevo sono fondamentali: senza, certe criticità resterebbero invisibili. È un impegno che parte dall’ascolto e punta a garantire un diritto essenziale, quello alla salute.
Le liste d’attesa sono diventate un problema enorme per tante persone in Piemonte. Non è solo una questione di numeri, ma di vite quotidiane, di preoccupazioni, di salute.
Da consigliera regionale non potevo ignorarlo, ma prima ancora da persona ho sentito il bisogno di occuparmene.
Il mio impegno è iniziato grazie agli Sportelli Salute organizzati dalla rete Cuneo per i Beni Comuni, che ho conosciuto da vicino e che poi è diventati un punto di riferimento anche per altre realtà della Regione. Gli sportelli aiutano le persone a far valere i propri diritti quando non riescono a ottenere un appuntamento nei tempi previsti in base alla priorità della prestazione (per esempio “U” = urgente, “B” = breve). In questi casi si può chiedere all’ASL, attraverso il Percorso di Tutela, di garantire la prestazione, anche rivolgendosi al privato senza costi aggiuntivi per chi ha bisogno.

Grazie al lavoro volontario di chi si mette a disposizione, tante persone sono riuscite a ricevere cure che rischiavano di essere rimandate. Per me è stato un modo concreto per capire due cose: quanto sia grande questo problema e quanto sia importante l’attivazione dei cittadini e delle cittadine.

Non è solo negli sportelli che le persone possono fare la differenza. Un esempio recente riguarda una vicenda che ha fatto discutere molto e che è stata ripresa anche dalla stampa (Lo Spiffero ne ha scritto qui).
Grazie alle segnalazioni di alcune persone, è emerso che in particolare l’ASL CN1 e l’Ospedale Santa Croce e Carle hanno dato a diversi pazienti appuntamenti “fittizi” in orari notturni, come le 23.45 o addirittura dopo mezzanotte. In questo modo venivano formalmente rispettati i tempi previsti per le visite urgenti (entro 10 giorni), ma di fatto in più occasioni si rimandava l’accesso reale a ben oltre le scadenze previste.
Un escamotage burocratico, che però non rispetta né lo spirito né la sostanza del diritto alla salute e che mette in difficoltà le persone già fragili perché in attesa di cure.
Quello che è emerso è un vero scandalo, perché parliamo di salute e di fiducia nel sistema sanitario: le persone si affidano al servizio pubblico con la certezza che venga garantita la prestazione nei tempi stabiliti, non con appuntamenti di facciata.
La cosa importante è che tutto questo non sarebbe venuto alla luce senza le segnalazioni dei cittadini e delle cittadine. Non avrei mai scoperto da sola questa pratica, e lo stesso vale per tante altre criticità che porto in Consiglio regionale. È la partecipazione delle persone che permette di indagare, approfondire e, auspicabilmente, correggere.
Dopo quella interrogazione mi sono arrivate tante altre testimonianze. Alcune molto simili, altre diverse, ma con un filo comune: la fatica di vedere rispettato il proprio diritto alla salute. Mi sono rimasti in mente in particolare due casi. Il primo è quello di un signore che nel 2014 era stato operato per un tumore ai reni. Undici anni dopo, da esami di controllo, emerge una lesione epatica. Preoccupato, si rivolge a un primario ospedaliero che gli prescrive una risonanza magnetica all’addome in classe B, cioè da effettuare entro dieci giorni. Viene inserito nella lista dell’Asl CN1 ma, dopo un mese di attesa, riceve una telefonata: la richiesta è considerata inappropriata. Per la priorità D, la meno rapida, non ci sono posti e la sola possibilità rimasta è pagare l’esame privatamente.
Il secondo riguarda un padre che, per suo figlio di undici anni, ha prenotato un’ecografia testicolare urgente prescritta dal pediatra il 26 maggio 2025. L’appuntamento gli viene fissato a mezzanotte del primo giugno, ma con la precisazione che si tratta di un appuntamento “fittizio” e che sarebbero stati ricontattati. Ma la chiamata non è mai arrivata e la famiglia ha dovuto rivolgersi al privato. Perché la paura che il problema fosse grave e il desiderio di intervenire con rapidità non potevano accettare l’incertezza di queste modalità.
Queste storie ci ricordano che dietro ogni nome in una lista d’attesa ci sono paure, speranze, fragilità a cui la sanità deve poter dare una risposta.
Ricevere segnalazioni e racconti non è solo la base del mio lavoro, è anche ciò che mi aiuta a non perdere mai il contatto con la realtà. A ricordarmi ogni giorno perché faccio quello che faccio.
Le persone sono reali, le loro difficoltà lo sono altrettanto, e serve uno sforzo di empatia per non dimenticarlo.
Per questo ringrazio chi mi scrive, chi mi chiama, chi racconta. È un modo per trasformare la rabbia o la frustrazione in impegno comune. È la prova che solo insieme possiamo migliorare le cose.
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